Storia

I Balestrieri di Città di Castello Ieri

“Con la nascita dei Liberi comuni e l’istituzione delle milizie popolari e cittadine si usò la balestra non soltanto nel campo di battaglia ma anche durante i periodi di pace, in occasione di gare che si organizzavano prevalentemente nei giorni festivi e avevano, naturalmente, la funzione di mantenere in esercizio i cittadini addetti all’uso dell’arma.”
M.Betti - G.Tricca, il Palio della Balestra a Sansepolcro. Storia di un gioco e di una città, ed Bonechi,  Firenze 1985, pag. 9

Anche a Città di Castello si praticava tale usanza in occasione, in particolare,  delle feste floridiane che erano solite tenersi nel mese d’Agosto, in cui si  dava vita a quello che il Certini definisce “lo consueto Palio”.

Ma chi erano i nostri balestrieri e cosa facevano?

A Città di Castello le balestre venivano usate sia come armi da difesa e da caccia  sia come armi da truppa. Le si potevano reperire in loco grazie alla presenza di  artigiani abili nella loro realizzazione.E di balestrieri nelle nostre terre se ne vedevano e come…  al servizio di  signorotti locali e di capitani  al soldo dei potentati del tempo.
Li troviamo sicuramente presenti e attivi  durante le lotte tra guelfi e ghibellini che caratterizzano le vicende dell’Italia del tempo.
Siamo nella seconda metà del  XIII secolo.Ogni Città, politicamente configurata,  aveva i suoi difensori armati, autoctoni o esteri.I balestrieri a Città di Castello  hanno rappresentato nel corso dei tempi e fino alla definitiva affermazione delle armi da fuoco  uno dei corpi scelti della fanteria.
Non erano però solo un corpo scelto tra i pedites, esistevano anche i balestrieri a cavallo che troviamo  anche tra le milizie di Paolo e Vitellozzo Vitelli (fine XV secolo e inizio XVI secolo). 

Come corpo da truppa seguivano il loro capitano o il conestabile. Come componenti del corpo di difesa cittadina rispondevano al proprio vessillifero o gonfaloniere (1 per ogni porta della città).

Ogni rione aveva un suo responsabile in tempo di pace e soprattutto in tempo di guerra. Tutti i cittadini del rione atti alle armi gli erano soggetti: era chiamato Vessillifero, perché ogni rione aveva un suo vessillo o gonfalone, dai vari colori, e all’ombra di quel vessillo si arruolavano i cittadini abili alle armi per affrontare le guerre a tutela della Città. Tali incarichi scomparvero col tempo e il governo venne unificato. La vera figura del Gonfaloniere comparve il 25 giugno 1559 con la riforma della Magistratura”
A. Ascani, Toponomastica Castellana, Città di Castello 1974, pag 15-16

E ora un po’ di date e di episodi…

“Nel 1337, furono condotti balestrieri e altri soldati per guardia del castello di Celle”.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 149

“A Borgo S. Sepolcro si spediva un capitano de’ soldati che guardavano i torrioni. Nel 1361. era Niccolò Conti”.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 164

“Li 2. maggio 1366. spedì la Città 40. balestrieri a custodire il Borgo, e vi stabilì per capitano il March. Pietro del Monte, che ebbe per successore Lazzaro Gualterotti.
G. Muzi,  Memorie Ecclesiastiche,  vol. 4, pag.100

Ancora a proposito dei balestrieri tifernati e della difesa di S.Sepolcro

“[…] e per mantenere tranquillo il Borgo, Castello mandò nell’ottobre del 1366, 90 armigeri a cui si aggiunsero in tempi successivi 90 balestrieri e, a testimoniare la dipendenza militare, i borghesi erano tenuti a fare rassegna giornaliera al Magistrato castellano.”
M.Betti - G.Tricca , il Palio della Balestra a Sansepolcro. Storia di un gioco e di una città, ed Bonechi,  Firenze 1985, pag.28

“Il dì  7.(Maggio 1369 - ndr) si decretò la ripresa del Borgo.
Si spedirono i vessilliferi di tutte le quattro porte, e ne fu facile il ricuperamento, perché i Castellani si erano mantenuti nei torrioni e torri di Borgo…”
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 166

Il ricorso alle milizie mercenarie

“… nell’aprile 1379. bisognò  prendere a soldo molti conestabili e due compagnie dell’Aucad, e del Conte Luzio, che si facevano ben pagare: ogni conestabile aveva 10. Lancie.
Ogni lancia aveva due cavalieri armati, uno era caporale della lancia, e l’altro avea piattum cum balestra, e un ragazzino col ronzino. In ogni cinque piatti vi era un’arco colla balestra, tutto ciò secundum consuetudinem balestrarum.

Fu anche chiamato da Bologna Giovanni di Matteo per fare delle bombarde di ferro da lanciare palle di pietra con polvere di salnitro e zolfo, come si legge in una pergamena del comune del 10. ottobre 1379.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 184

Nel mese di maggio del 1382 (ndr) il March.  Piero  assoldò una compagnia, che rondava presso il contado Tifernate di 1400 balestrieri, ed altra fanteria comandata da Guglielmo Salimbach di Germania.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 189

La Città per stare in guardia di tanti nemici interni ed esterni dovè custodire gelosamente la Città stessa e i castelli specialmente di frontiera. Nel 1398 teneva sulle mura della città 72. Sentinelle. Nei castelli o mandava i castellani comandanti, oppure obbligava i padroni a dare sicurtà, che li costudissero in difesa della città. […]
Per le continue guerre e timori di guerre spesso dovea la città armare i suoi cittadini, e non di rado assoldare compagnie d’avventurieri, di cui era piena l’Italia, […], e quando erano prive di servizio si spargevano per i contadi delle città rubando e devastando quanto trovavano.

Chi volea liberarsi da questi ospiti voraci, bisognava ben pagarli. Così fece la Comune di Città di Castello nel 1385. per allontanare la famosa Compagnia di S. Giorgio, quella della Rosa, e l'altra di Giovanni Beltost. Nel 1398. pagò 800. fiorini d' oro per fare sgombrare il territorio dalle Compagnie del conte Giovanni di Carrara da Padova, di mess. Corrado Prospero tedesco, di mes. Francesco de' Gabrielli di Gubbio, di Antonio degli Albizzi di Lucca.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 216-217

1399. […] Matteo Berto di Petroja è condotto dal Comune per l'arte di far balestre.
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 228

 “Braccio Fortebracci (Agosto 1422), dopo aver eretto due bastie, una contro il ponte del Tevere, l’altra contro il torrione delle Giulianelle, fatto venire quattro grossi pezzi di artiglieria e molti più piccoli, […], alzato due trabocchi (uno alla porta di S.Egidio, l’altro a quella di S.Maria , da cui tutto il giorno venivano scagliati sassi), potendo contare anche sulla collaborazione di Trincia, signore di Foligno,[…] e avvalersi dell’aiuto di Braccio Malatesta di Pesaro, Bernardino Ubaldini di Carda, Cerbone (Marchese del Monte) e dei rispettivi soldati,[…] giovandosi anche di molti di San Sepolcro che gli somministravano le vettovaglie, si accinse a dare l’assalto definitivo a Città di Castello. Fece venire da Perugia 5. m. fanti, fece fabbricare una machina di legno in forma di testudine della più grande altezza che potè, e riempitala di soldati veterani armati tutti dal capo alle piante, comandò che fosse accostata alle mura. Mise poi incontro alla torre, che stava sopra la porta della città due pezzi di artiglieria, che la battevano per diritto, e molti balestieri, che la ferivano di fianco.”
G. Muzi Memorie Civili, vol 1, pag 247-248

Assedio del 1474

“Con questo assedio si fecero dagli assediati non meno che dagli assedianti guasti orribili nei contorni della Città.
[…] Sappiamo dagli annalisti Tifernati, che furono gittate a terra tutte le case, che formavano il sobborgo della Città da porta S. Maria sino a Rignaldello, e tutte le case del sobborgo fuori di porta S. Jacopo, meno il portone del Cavaglione, che era armato e custodito da sette od otto uomini.

Furono fatte molte recise e fossati, affinché i cavalli non potessero accostarsi alla Città. Si alzò un muro intorno al ponte del Prato, ove si andava quasi al coperto sin fuori dello stesso ponte.

Fu fatto anche un rivellino per porta a difesa e guardia delle porte medesime. Avanti la porta del Prato furono fatti tre rivellini, uno avanti l' altro a modo di fortezza. Fuori del ponte del Tevere fu fatta una recisa o fossa con un alto greppo colle balestiere per stare in difesa, e per impedire, che i nemici divertissero l' acqua del molino del ponte.

[…] Fuori di porta S.Jacopo v'era, […], il campo di Piero Ordelaffi, e con lui erano altri capitani del Papa, il figlio del Signore di Mantova, Gio. Francesco da Bagno, Giorgio da Massa, Antonello di Forlì, Malatesta Malaspina”.
G. Muzi Memorie Civili, vol 2, pag 43 e segg.

Il ritorno in patria di Niccolò Vitelli

“Gli annali di Città di Castello hanno un vuoto dall' aprile sino ai 21. Giugno [1482 ?], tempo cioè, in cui Niccolò Vitelli Commissario della lega fiorentina con tutti i fuorusciti, e con un buon numero di cavalli e fanti la mattina del 19. Giugno quattr'ore avanti giorno arrivò alla porta di S. Florido, ed ivi assediò la porta del ponte. Tutti i suoi nemici fuggirono nelle rocche.
La sera prese il molino del ponte, e tenuto discorso con i suoi fautori di Città, alle ore 20. mentre pioveva mandò una parte de' suoi a combattere la porta di S. Egidio, e l’altra parte combatteva quella del Prato.

Alcuni suoi soldati entrarono per le mura presso la porta chiusa di S. Andrea, perché ivi si sentiva da alcuni gridare.— Vitelli, Vitelli! — e con le scale discesero e andarono in piazza, ov' era il Luogotenente mes. Domenico da Roma, e tutti gridarono — Viva la Chiesa! — Il Luogotenente tornò al palazzo con somma quiete di tutta la Città, di modo che gli scrittori contemporanei raccontano, che, grazie a Dio, non vi fu azzoppata neppure una gallina.

Un'ora dopo entrò in Città Niccolò Vitelli a piedi, solo con festa universale di tutti i cittadini. Subito seguirono diverse riconciliazioni, tanto ché ognuno piangeva per l' allegrezza”.
G. Muzi,  Memorie Civili,vol 2, pag 43 e segg

Li 21. giugno si dette balia a otto cittadini, tra i quali Niccolò Vitelli per trattare la resa delle rocche. Venne con i soldati della lega il signore di Pesaro Costanzo Sforza d’Aragona e Bartolomeo Pucci Commissario delle armi fiorentine.

Li 12. luglio si rese a patti la rocca di S. Maria con pro messa di salvare le persone e robe di quelli che erano dentro, e di sborsare al castellano buona somma di denaro. Fu consegnata a ser Ludovico di Mercatello cancelliere del Duca d' Urbino.

Li 18. si rese la rocca sopra la porta S. Jacopo con i medesimi patti, e fu consegnata al Commissario dei Fiorentini. l Priori, che erano siati estratti come prima alla presenza di due frati di S. Francesco e di S. Domenico aventi una chiave della insaccazione per uno, presero possesso dei detti fortalizj col vessillo della Città.
Li 22. si spedirono oratori a Firenze Luca Magalotti e Cordone Cordoni per ringraziamento di avere ricuperato la libertà e di mantenersi in essa sotto lo scudo del popolo fiorentino per più di 100. anui, per implorare ancora la comandigia della Repubblica Fiorentina coll' offrire ogn' anno un pallio nella festa di S. Giovanni, e ricevere da essa ogni sei mesi un Potestà.

Li 19. agosto si stese l'atto di comandigia al popolo fiorentino, a cui i riferiiati si unirono per socj ed amici a pace e guerra.

Mentre il Vitelli e i suoi fautori rientrarono in Città e al possesso de' loro beni, e conseguivano le primarie cariche, furono li 28. ottobre dichiarati ribelli Amodeo con Paolo e Lorenzo Giustini suoi figli, e Corrado servo in loro casa, Virile Virili con Marcantonio , Benedetto e Angelo suoi figli, Saldone di Angelo Saldoni, Giovanni di Ludovico di Nedo, Antonio di ser Buzio con Buzio figlio, Piero Kauucci, Piero di Giovanni di Broccolo con Diofeto figlio, Pandolfo di Bartolomeo Fucci, Francesco di Paolo, Paolo di Piergentile, Piergentile suo figlio, Luca di Domenico, Anselmo d' Antonio, tutti de' Fucci, Angelo Giustini e ser Girolamo di maestro Giovanni artefice.

Li 30. novembre fu congregato il popolo nella gran sala dei Priori, e a viva voce fu approvato quanto era stato riformato dopo il ritorno del Vitelli.

Fu stabilito, che tutti i cittadini dovessero conservare la libertà e lo stato popolare e la parte Vitellesca; si riconoscesse Niccolò Vitelli coi suoi figli e discendenti per linea mascolina pel principale cittadino e per capo di partito a conservazione della confederazione e de' patti fatti coi Fiorentini e col favore della serenissima lega a cattiva morte, distruzione ed ultimo esterminio di chi ardisse il contrario […].

Frattanto non erano oziosi quelli della fazione contraria al Vitelli favorita dal Governo Pontificio.
Fu combattuto con varia fortuna. Si legge nel libro grande de' proveditori della camera di Firenze, che nel 1482. ai 4. agosto furono condotte da' Fiorentini 500. paghe e 30. balestre.
G. Muzi, Memorie Civili, vol 2, pag 61-62

“Il 18 ottobre del 1483 Giovanni, con cavalli e balestrieri, si portò a Celalba difesa dal Virili.”
Angelo Ascani, Niccolò Vitelli padre della patria, Città di Castello 1967, pag.87

Camillo, Paolo e Vitellozzo Vitelli e l’organizzazione militare rinascimentale

Le innovazioni

Riguardo all’aspetto tattico-militare, si attribuisce a Camillo Vitelli l’introduzione per la prima volta in Italia degli archibugieri a cavallo come corpo a se stante, e a Paolo e Vitellozzo Vitelli la formazione di una fanteria armata “alla svizzera”, con picche, che sono lance lunghe tre o più metri tenute con entrambe le mani, divisa in squadre in formazione quadrata, capace sia di resistere all’urto della cavalleria nemica, sia di attaccare a sua volta, creando disordine nelle file avversarie e favorendo così l’attacco della cavalleria del proprio schieramento.

[…] L’aspetto innovativo introdotto dai Vitelli è l’avere istruito a combattere “alla svizzera” soldati reclutati in Umbria, nel territorio tifernate e in aree limitrofe soggette alla loro influenza: alla forza si aggiunge così la fedeltà al proprio condottiero e la motivazione a combattere in difesa del proprio territorio, come ben evidenzia Paolo Giovio in una sua celebre descrizione della fanteria vitellesca:

Et menò [Vitellozzo] un battaglione ordinato secondo la disciplina della guerra, di terrazzani, et di contadini, et lavoratori eletti. Conciosia cosa ch’egli, et Camillo, et Paolo, suoi fratelli, havevano atteso grandemente a questa cosa, per provedersi di certi domestici presidii contra l’ingiurie de’ vicini, et la violenza de’ Papi a loro in ogni tempo da esser temuta; conoscendo eglino molto bene, massimamente per l’essempio fresco de’ Francesi, et ancho per l’usanza de gli antichi, che le guerre si fanno, et le vittorie si acquistano principalmente con la fanteria.

Erano costoro huomini con la zazzera semplici in habito contadinesco, e nell’aspetto quasi che da farsene beffe; ma con certa ostinatione d’animo et durezza di corpo et fede molto costante et per lo molto amore ch’essi portavano a’ capitani loro et desiderio d’ubidirgli, degni del nome d’ottimi soldati, et essi gli havevano armati di spade et di picche secondo il costume della militia Tedesca.

Appresso gli avevano insegnato seguire l’ordinanza, accomodarsi bene a certi suoni di tamburi, rivolgere e dirizzare la battaglia, correre a guisa di chiocciola et finalmente con molta arte ferire il nemico et diligentemente mantenere l’ordinanza.
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, pag 20

Ma questa temibile compagnia d’arme come era organizzata? Da quanti soldati era composta?

“[…] Nella condotta stipulata tra i Vitelli e la Repubblica fiorentina il 12 febbraio 1498, i due condottieri sono presi a servizio con 200 uomini d’arme e 200 balestrieri a cavallo.
Il secondo capitolo della condotta indica con estrema precisione la consistenza della compagnia vitellesca: Sieno obligati detti Signori Vitelli, et così permettere dicto Signor Paulo in decti nomi et modi durante il tempo della presente condocta, tenere, per decto soldo, fermamente a’ servigi della prefata Cristianissima Maestà et Repubblica fiorentina, huomini d’arme dugento vivi et balestrieri a cavallo dugento, di buone gente et bene armati et bene a cavallo secondo l’uso de’ buoni condoctieri et balestrieri a cavallo italiani.

E’ quali huomini d’arme et balestrieri sieno tenuti havere scripti per tutto maggio per peli et segni, intendendosi che habbino a tenere per ogni huomo d’arme uno cavallo sufficiente per capo di lancia, uno ragazo con uno cavallo piatto sufficiente et uno sachomanno et uno che guidi el carriaggio con i loro cavalli sufficienti, et ogni balestriere con cavallo sufficiente a tale exercitio.
Et dipoi farne la mostra et rassegnia almeno tre volte l’anno, essendone richiesti da qualunque Commissario et officiale acciò deputato dalla Christianissima Regia Maestà o dalli Excelsi Signori Fiorentini et per quelli fussino trovati havere meno, possino et debbino essere apunctati et perdere il soldo per la ratha, secondo li ordini della Repubblica Fiorentina et consuetudine delle sue altre gente d’arme.

Ogni uomo d’arme, cioè il cavaliere di grave armatura, era seguito da tre o più uomini al suo servizio, anch’essi muniti di cavallo, che tutti insieme costituivano una “lancia”, l’unità di misura della compagnia d’arme. La lancia vitellesca era composta, dunque, di quattro persone: il cavaliere, lo scudiero, il saccomanno e il valletto che attendeva al bagaglio, secondo l’uso italiano.

Nel 1497, perciò, la compagnia era costituita in tutto da 1.200 uomini a cavallo, mentre, nel 1498, era formata da 1.000 uomini a cavallo, ma, rispetto all’anno precedente, gli uomini atti al combattimento sono aumentati di cento unità. Infatti, accanto ai cavalieri con armatura pesante, compaiono adesso i balestrieri a cavallo, cioè cavalleggeri armati di balestra che costituiscono un corpo a se stante.

Inoltre, a partire dal luglio 1498, vengono compresi nella condotta dei Vitelli anche 1.200 fanti «di buone genti et bene armati» che, considerando fra essi la presenza di «capi et caporali», vengono pagati dai Fiorentini come se si trattassero in tutto di 1.400 provvisionati.

[…] Ci sono lettere che comprovano come Città di Castello fosse il centro di reclutamento di militari richiamati dal territorio circostante: nella stessa missiva succitata, Vitellozzo, che si trova nella città umbra, attende istruzioni dal fratello per l’invio di fanti e di oggetti necessari nell’accampamento militare; mentre Vitellozzo e Paolo si trovano al fronte, il compito di raccogliere i soldati e coordinarne gli spostamenti a Città di Castello viene assunto dal fratello Giulio, protonotario e vescovo tifernate dal 17 aprile 1499.

Un gruppo consistente di lettere costituiscono delle polizze con cui i Vitelli raccomandano al loro cancelliere Cerbone Cerboni di pagare i soldati loro stipendiati nella forma da loro indicata, con denaro o con merci varie; questi documenti restituiscono molti nomi propri di militari al servizio dei due condottieri, indicandone a volte la specifica qualifica (uomo d’arme, balestriere, conestabile, ecc.) e più spesso il paese o la città d’origine.
Si può quindi constatare come molti di loro fossero reclutati nel territorio soggetto al dominio fiorentino confinante con Città di Castello, dove i Vitelli possedevano beni immobili ed avevano una certa influenza politica: Cortona, Sansepolcro, Anghiari, Arezzo, Castiglion Fiorentino, Foiano della Chiana.

Molti altri venivano dalle Romagne (Forlì, Ferrara, Brisighella), oppure dall’area umbro-marchigiana; vi era anche un consistente numero di soldati di origine straniera, soprattutto Albanesi e Corsi.”
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze , pag 21-24

“Nei registri delle condotte e stanziamenti dei Dieci di balia per gli anni 1497- 1499 si trovano annotati tutti i nomi degli stipendiati divisi per qualifiche e mestieri: «gente d’arme», cioè i condottieri; cavalleggeri, a capo di compagnie di balestrieri a cavallo; conestabili, a capo di fanti provvisionati; bombardieri, ingegneri, fornitori di munizioni; medici d’accampamento; mandatari e cavallari, per il trasporto di merci e della corrispondenza; commissari, castellani e, infine, spie.

Tra i nomi indicati in questi registri, molti compaiono anche citati nelle lettere dei Vitelli e il confronto incrociato fra i documenti ha permesso di identificare questi personaggi e di restituire uno spaccato di vita quotidiana dell’accampamento militare, fuori dalle battaglie, dagli assalti, dalle scorrerie, dalle grandi manovre belliche.

I Vitelli, per esempio, nel novembre 1498, caldeggiano ai Dieci di prendere al proprio servizio «misser Alberto, ingegnere […]; sollecitano più volte l’invio al campo presso Pieve Santo Stefano di maestro Giovanni Dimitri, che risulta dal 1498 condotto dai Dieci « per ingegneri, con p(rovisio)ne di f(iorini) 200 lar(ghi) di gr(ossi) [...]».

Tra le carte dei Vitelli si conservano alcune missive scritte e indirizzate a maestro Iacob ebreo, che era stipendiato dai Dieci per servire in campo come medico chirurgo […]. con salario di dieci fiorini larghi in oro al mese.
Si può inoltre constatare come alcuni condottieri che compaiono nei registri fiorentini fossero stati assoldati su raccomandazione di Paolo e Vitellozzo, come Giovampaolo Baglioni e il fratello Simonetto, Ambrogio da Landriano, «creato» di Giovanni della Rovere prefetto di Roma, e il conte Giovanni di Carpegna. […] Bandino di messer Cesareo Bandini di Città della Pieve, imparentato con i Vitelli e utilizzato da Paolo e Vitellozzo come informatore, che compare nei registri degli stipendiati della repubblica fiorentina dal 1496 al 1499 come cavalleggero, a capo di 25 e poi di 50 balestrieri a cavallo.
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, pag 26-27

I Vitelli chiedono con insistenza alloggi, vettovagliamenti e foraggi per i cavalli dei loro uomini d’arme e dei loro balestrieri;
ordinano tende, calze, camicie, guanti, giubboni;
sollecitano l’invio di pallottole, scoppietti e altre artiglierie minute, cannoni, carrette e cavalli per il loro trasporto, caricatori.”
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, pag 27

“Il mestiere delle armi era dunque un lavoro molto complesso ed il condottiero, nella gestione di questa grande macchina bellica, necessitava di coadiutori. Le carte dei Vitelli testimoniano come tutti i condottieri al servizio della Repubblica fiorentina avessero un loro cancelliere o procuratore residente a Firenze,[…]: Cerbone Cerboni per i Vitelli; Giovanni Greco per Ambrogio da Landriano; «ser Baccio» per Giovanni conte di Carpegna;  Alberto Paltone per Giovampaolo Baglioni; Bernardino Tondinelli per Ranuccio da Marciano. Questi cancellieri erano in contatto fra loro e a volte eseguivano insieme alcune disposizioni dei loro «padroni».

Dai documenti risulta come i Vitelli fossero seguiti nei loro spostamenti da numerosi scrivani, per la maggior parte notai, raccolti a svolgere le loro mansioni all’interno dell’accampamento sotto una speciale tenda, contraddistinta da due calamai dipinti sopra di essa, a mo’ di insegna, intenti non solo a scrivere lettere e smistare la numerosa corrispondenza con Firenze, la Francia, Città di Castello, ma anche a compilare numerosi registri dove erano annotate le spese del campo, le paghe per ciascun soldato, gli ordini di merci, i pagamenti ai fornitori ecc.

[…] In alcune missive i Vitelli si raccomandano al Cerboni di inviare loro un elenco dettagliato delle merci inviate al campo, con il nome accanto del militare che le ha ordinate, per poterle mettere sul suo conto e scalargli la spesa dalla sua paga.

In effetti, molti soldati erano, almeno in parte, pagati sotto forma di vestiti per sé e spesso anche per le loro mogli. In questo caso erano mandati a Firenze dal Cerboni, che provvedeva a procurare i panni di lana e i velluti del colore, quantità e valore specificati nelle polizze sottoscritte dai Vitelli e presentate dai militari.

Firenze era il luogo privilegiato per l’acquisto di tessuti e di stoffe ed i Vitelli avevano i loro fornitori di fiducia: il mercante Giovanni Becchi, al quale prestarono anche trecento ducati per poter comprare dall'Arte degli speziali una bottega per esercitare il commercio della lana, e Giuliano Gondi, loro creditore.

Inoltre, dalla carte dei Vitelli si ricava come questi coltivassero nelle loro terre il guado, una pianta usata come materia colorante in tintoria, che poi vendevano a Firenze, a tintori e produttori di tessuti, creando dei canali privilegiati per il rifornimento di stoffe, abiti, coperte e altri oggetti in tessuto.

Le polizze che i militari presentavano al Cerboni per ricevere stoffe e tessuti, sono molto interessanti, sia perché documentano il valore economico di tali merci, sia perché permettono di figurarci come andavano vestiti questi soldati: sono richiesti soprattutto panni di lana per confezionare cappe (lunghi mantelli) con fodere e cappucci in velluto.

Dei panni se ne indica quasi sempre il colore: monachino (di color bruno scuro tendente al rosso), colombino (grigio colomba), tanè (particolare tonalità di castano, intermedia tra nero e rosso), rosato, paonazzo, capo di picchio (questi ultimi tre indicanti delle tonalità di rosso).

Il velluto, generalmente di colore nero o verde, a volte cremisi, era impiegato anche per realizzare i giubboni (sopravvesti maschili), per i quali si ordinavano anche raso e seta, in un caso del fustagno; era usato, poi, per le berrette «alla francese» e per ricoprire le corazzine.

Molto richieste erano le calze, solitamente di panno bianco o grana (cioè rosso melograno); a volte i soldati si facevano consegnare delle gamurre (sopravvesti femminili) per le loro mogli, di panno con maniche in seta. Le cappe più preziose, destinate agli uomini d’arme, erano ornate da cordoni d’argento e utilizzavano per il cappuccio, al posto del velluto, il broccato, anch’esso d’argento; erano confezionate con panno di lana di colore rosso.

I Vitelli invece ordinarono a Firenze del velluto nero della qualità migliore, per farsi confezionare delle vesti alla francese, su ciascuna delle quali erano applicati due vitelli ricamati in oro.
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, pag 30-31

La divisa vitellesca

… scrivendo da Città di Castello il 1° aprile 1498, il tifernate Piergentile Fucci ordina al Cerboni di acquistare a Firenze del panno e del velluto per confezionare gli abiti dei famigli dei Vitelli, secondo la loro divisa, raccomandandosi di fare presto perché gli abiti devono essere pronti per Pasqua, celebrata il 15 dello stesso mese:
[…] Esendo venuto lì Vincentio nostro, li commesi, ateso ch’l veluto che dice ser Tito non era el proposito, maxime che non haveva se no del cilestro, che expressamente vi facesse intendare comperaste braxa doddici de veluto cilestro et braxa doddici de veluto azzurro, overo cilestro pienissimo, in muodo habino quanta più diferentia si pò, da far la predicta nostra devisa, et braccia se' de veluto negro: in tucto braccia 30 de veluto.

Et non aspetate di farlo fare aposta, ma toglietelo subbito conme meglio potete, perché non havemo tempo d’aspectare. Li panni de li predicti famegli sonno la magior parte forniti et parte cominciati per non avere altri panni a portare, in muodo stanno malissimo senza aprectare bavari secondo el disegno dato de dicti panni tagliati. Apresso, mandate braccia tre de panno cilestro chiaro et braccia tre de panno azzurino, overo de cilestro pienissimo, et sia l’uno et l’altro fino perché se n’ ha a fare berette da divisa, con roverscine de dicto veluto che mandarite.
Io no vi mando più mostre perché qua non me pare ce sia cosa bona et perché, spero con me, prudenter operarite l’abisogno secondo di sopra se contene.

Una cosa sola vi pregho, etiam per commisione de questi nostri magnifici Signori Vitelli: vi piaccia dare a le predicte robbe expeditione s’abbino quanto più presto ve sia posibili, et per omni muodo a tal tempo che se possino far tagliare et fornire, che s’abbino questa Pasqua. Altamente, parria fussimo mezzi impaciati haver dato tale principio a li predicti panni et a la Pasqua non fussaro forniti comme hanno ad essere con lor fornimenti […].

I due colori, «cilestro» chiaro e azzurro, o «cilestro pienissimo», usati a contrasto per confezionare gli abiti e le berrette, rimandano allo stemma dei Vitelli, dove compaiono, secondo la descrizione del Certini, «due scacchiere, gli di cui quadri sono rossi e d’argento, inquartate a due mezze lune d’argento in campo azzurro».

Il «cilestro», infatti, indica un colore azzurro ghiaccio, proprio di tessuti e stoffe, che ricorda l’argento. Nel documento, appunto, le vesti da confezionare con questi colori sono destinate ai famigli dei Vitelli, ma sicuramente presentavano il medesimo contrasto anche gli abiti dei soldati della compagnia vitellesca, visto che, in altre lettere dirette al Cerboni, Paolo e Vitellozzo ordinano abiti «alla divisa» loro per alcuni militari.
Chiara Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, pag 32-33

 Le Fonti

Angelo Ascani 

Niccolò Vitelli padre della patria, Città di Castello 1967

Angelo Ascani

Toponomastica Castellana, Città di Castello 1874

Chiara Benzoni

Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, Università degli Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia - Dip. Italianistica, Scuola di Dottorato Internazionale in Civiltà dell’Umanesimo e rinascimento, XXII ciclo, M-STO/08

M. Betti - G.Tricca

Il Palio della Balestra a Sansepolcro. Storia di un gioco e di una città, ed Bonechi, Firenze 1985

Comune di Città di Castello

Statutorum Gabellarum

Giovanni Muzi

Memorie Civili ed Ecclesiastiche di Città di Castello, vol. 1-7, ed. Donati,  Città di Castello 1844 Immagini  a corredo

 

Immagini a corredo

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Ricerca e documentazione a cura di Gruppo Ricerca e Documentazione Compagnia dei Balestrieri di Città di Castello

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